DOMENICA 27 Ottobre

Riferimenti letture: Sir 35,15b-17.20-22a; Sal 33,2-3.17-19.23; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14Commento alle letture:

DUE UOMINI SALIRONO AL TEMPIO A PREGARE…

«NON ho lavorato, non ho compiuto le opere della giustizia, non ho mai osservato uno solo dei tuoi comandamenti, ho vissuto nel vizio per tutta la mia vita; eppure tu non hai rivolto altrove lo sguardo, mi hai cercato e mi hai trovato là dove andavo errando». Queste parole di un autore spirituale, Simeone il Nuovo Teologo (Inni, XLI), esprimono l’atteggiamento umile e confidente del pubblicano al tempio (Vangelo): non ha il coraggio di guardare in alto, ma chiede misericordia al Signore, nella speranza che almeno il suo sguardo sia rivolto su di lui, lo raggiunga in quel momento di tristezza a motivo dei suoi peccati e gli doni misericordia. Il fariseo è troppo intento a esibire il proprio certificato di benemerenza nei confronti del Signore, senza rendersi conto che, invece, Dio gradisce uno spirito contrito e non disprezza un cuore affranto per i propri errori. Cristo insegna a non insuperbirci e a non fare confronti fra la nostra vita e quella degli altri, ma, come direbbe san Paolo, (II Lettura) ad avere ognuno la giusta misura di sé, così da essere aperti a Dio. (da La Domenica)

RIFLESSIONE

Il Vangelo odierno  offre alla nostra considerazione  una parabola  sulla   preghiera, che Gesù  indirizza  a coloro che si ritengono giusti. In realtà,  la parabola  va al di là della  preghiera; descrive  infatti   il modo  di concepire Dio e la sua  salvezza, il modo di comportarsi nei suoi  riguardi. Presenta due  protagonisti, il fariseo e il pubblicano, i quali incarnano due contrastanti  atteggiamenti verso Dio e verso  il prossimo.

Gesù, sebbene non li nomini espressamente, ha di mira i farisei,  i quali si reputavano  giusti davanti a Dio e disprezzavano gli altri, in modo particolare i pubblicani. Già precedentemente  li aveva accusati in modo chiaro: “ voi vi ritenete giusti davanti agli  uomini; ma  Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”(Lc 16,15).

La forza della parabola consiste  nella denuncia di Gesù nei riguardi   dell’atteggiamento di autosufficienza del fariseo. Questi viene presentato  come colui che  per  il semplice fatto di osservare fedelmente  la legge  si autogiustifica davanti a Dio. Si  ritiene infatti    senza peccato; non ha la consapevolezza di essere bisognoso della misericordia di Dio. Quindi   non  reputa necessario pregare Dio per domandargli il perdono per qualche colpa. La sua  preghiera è solo apparente; non chiede nulla a Dio; in effetti essa diventa  un pretesto per lodare se stesso.  Davanti a Dio egli si vanta delle opere che compie. O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblica. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Fa l’elogio di se stesso affermando di essere  migliore degli altri. Infatti  non solamente osserva la Legge, ma  fa di più di quanto  essa esiga. Digiuna volontariamente  due volte la settimana. Paga le decime di tutto ciò che acquista. E’ fiero e soddisfatto di se stesso; non trova  nulla di riprovevole in se stesso.  Pensa pertanto  che  le sue opere buone  rendano   Dio  debitore nei suoi  confronti. Si presenta  a Lui  con le proprie  credenziali. Rammenta a Dio la ricompensa che ritiene  di attendere, anzi esigere, da Lui.   Non vede la salvezza  come dono gratuito di Dio.

Al contrario il pubblicano si riconosce peccatore. Ha coscienza delle sue colpe; non si vanta di nulla e non si paragona ad altri più peccatori di lui. Anche il suo atteggiamento esterno ne è  prova. Si mette in uno stato di umiltà: sta a distanza, non distacca gli occhi dalla propria miseria per alzarli verso il cielo.
Si  batte il petto – che  è la sede del cuore dal quale deriva ogni peccato –  dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. E’ conscio di non avere meriti davanti a Dio. Sa che non può pretendere nulla da Dio e che deve contare sulla sua misericordia e non su se stesso.
Gesù sottolinea che tra i due atteggiamenti,   quello del pubblicano è il  vero, perché è in armonia con la salvezza, che è  dono gratuito di Dio.

La parabola  chiama in causa  ogni cristiano, ogni uomo. Tutti siamo peccatori;  nessuno ha la capacità  di salvarsi, né può avanzare in merito  pretese davanti a Dio.  L’unico modo  corretto di porsi davanti a Lui, nella preghiera ed anzitutto  nella vita,  è quello dell’ umiltà,  è  quello di sentirsi bisognosi del suo amore, del suo perdono. E’ Dio che ci salva in Cristo Gesù (cf.Rm 3,22-26). Dobbiamo certamente compiere le opere buone, ma senza vantarcene, senza fare paragone con gli altri.

PREGA CON IL VANGELO

Un peccatore che, cosciente della propria colpa,

intraprende con umiltà un cammino di conversione, è

da preferirsi a chi, lungi dal ritenersi peccatore, si

esalta con orgoglio a causa di certe qualità superiori

che egli presume di possedere. È questo l’insegnamento

che si ricava dalla parabola del pubblicano.