DOMENICA 08 Settembre

Riferimenti letture: Sir 3,19-21.30-31; Sal 67,4-7.10-11; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-140

Commento alle letture:

ENTRARE NELLA LOGICA DELLA CROCE CRISTO È IL RIVELATORE DEL PADRE

LA prima lettura di questa domenica ci presenta la ricerca dell’uomo che si interroga sul pensiero di Dio: «Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?». Proprio questo squarcio dell’Antico Testamento ci permette di cogliere la realtà profonda di Cristo: è Lui il rivelatore del Padre, l’unico che ci può comunicare ciò che piace a Dio. Gesù ci dice che per seguirlo dobbiamo uscire dalla logica del trionfalismo per entrare in quella della croce.
Per seguirlo (Vangelo), bisogna fare bene i conti con le proprie capacità, come deve fare chi voglia costruire una torre o ingaggiare una guerra: è necessario valutare le proprie forze. Non possiamo seguire Gesù giocando al ribasso: il discepolato chiede radicalità, la «rinunzia a tutti i propri averi», cosa che indica prima di tutto l’affidamento totale a Dio, senza appoggi umani. Ecco allora che le forze succitate non sono solo le nostre, ma quelle di Dio, offerte a chi si fida e si apre alla grazia, come diceva santa Teresa di Gesù: «A chi straordinariamente confida, Dio straordinariamente provvede».

PREGA CON IL VANGELO

Signore, l’invito ad amare te più di quanto amiamo le

persone care ci fa riflettere. È una chiamata ad una libertà

interiore che altro non è se non adesione, in totale fiducia,

alla tua volontà. Affidandoci a te, anche le nostre croci

quotidiane si alleggeriscono del loro peso. Ogni giorno

c’è da costruire e da combattere. Lo Spirito Santo illumini

i nostri pensieri e desideri per poter discernere, come

discepoli autentici, i passi da compiere e portare a

termine ogni nostra opera.. (da La Domenica)

 

RIFLESSIONE

E’ importante costatare che Gesù precisa le richieste per essere suoi discepoli dopo avere notato che molta gente lo segue mentre si dirige verso Gerusalemme, dove sarà arrestato, processato, condannato a morte. Ciò potrebbe essere interpretato nel senso che Egli voglia quasi scoraggiare la folla a seguirlo. Non è così; l’invito è rivolto a tutti. Egli intende piuttosto mettere in risalto la serietà della scelta di impegnarsi per lui. Le sue richieste sono molto esigenti.
Anzitutto Gesù reclama di essere anteposto a qualsiasi affetto: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Il linguaggio è forte: Luca parla di “odio”. La formula parallela di Matteo suona così: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37). Il termine “odiare” è un ebraismo che non va preso alla lettera. Gesù non abolisce il quarto comandamento, anzi lo riconosce (cf Lc 18,20), né sopprime gli affetti familiari. Esige la scelta radicale che subordina ogni affetto a lui. Egli deve avere il primato nella gerarchia degli affetti. SeguirLo significa metterlo al primo posto.
La radicalità della sequela riguarda non soltanto gli affetti familiari, ma anche la stessa vita. Il discepolo deve essere pronto anche al martirio pur di non perdere Gesù. Gesù passa davanti a tutto, anche alla stessa vita.
C’è un’altra richiesta: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo”. Negli ascoltatori l’espressione “portare la propria croce” risvegliava l’immagine terribile del condannato a morte che portava da sé il legno al quale stava per essere inchiodato. Gesù vuole dire che l’ombra della sua croce si riflette, si prolunga sulla vita del discepolo. “Portare la propria croce” significa mettersi nella disposizione di affrontare tutti i sacrifici e la morte stessa per rimanere fedeli a Gesù, per seguirlo fedelmente. Si tratta delle abnegazioni e delle rinunce che si impongono al cristiano ogni giorno.
Gesù nell’indicare queste priorità di scelta invita alla riflessione. La sua sequela è un compito che richiede impegno e costanza. Per rendere comprensibile questa esigenza Egli porta due parabole, le quali non hanno lo scopo di sottolineare la necessità di prendere in considerazione le proprie forze quasi che la sequela di Gesù non fosse obbligatoria e che davanti alla sua proposta ci si potesse tirare indietro. L’invito porta con sé la grazia di vivere da discepoli. Entrambe le parabole vogliono piuttosto evidenziare una scelta che coinvolge profondamente la persona ed inculcare la necessità della coerenza, della perseveranza. Nelle questioni umane importanti si fa di tutto per raggiungere l’obiettivo propostosi, anche a costo di qualsiasi sacrificio, per non esporsi al fallimento, alla derisione. Allorché si tratta della sequela di Gesù l’impegno deve essere serio e perseverante. Questo è il “calcolo” richiesto al discepolo.
Le parole di Gesù: “chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” vanno intese alla luce di Lc 12,33 e 18,22, vale a dire nel senso che esiste un duplice modo di seguire Gesù: uno che è quello rivolto a tutti, l’altro, particolare, che consiste in quella adesione a Lui, la quale richiede il massimo sacrificio che non tutti sono capaci di affrontare. Questo però non comporta la diminuzione della tensione, valida per tutti, nel tenere il cuore distaccato dai beni terreni. Se il cuore è attaccato alla ricchezza si inaridisce e si chiude a tutti i sentimenti anche a quelli più nobili: anche all’amore e al rispetto per il padre, la madre, i fratelli e le sorelle.
Il cristianesimo è gioia, ma essa non è donata a poco prezzo o gratuitamente. Gesù ha raggiunto l’esaltazione passando per la croce. Ciò vale anche per il discepolo. Non c’è pasqua senza il venerdì di passione.