Parlare col cuore: Veritatem facientes in caritate (Ef 4, 15) è il tema che Francesco ha scelto per la 57a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che si celebra Domenica 21 maggio 2023 e vuole preparare la celebrazione del Sinodo di ottobre. Nel drammatico contesto di conflitto globale che stiamo vivendo, è necessaria una comunicazione non ostile, aperta al dialogo con l’altro, che favorisca un “disarmo integrale”, che si adoperi a smontare “la psicosi bellica” che si annida nei nostri cuori, come esortava San Giovanni XXIII, 60 anni fa nella Pacem in Terris. È uno sforzo che è richiesto a tutti, e in particolare agli operatori della comunicazione, chiamati a svolgere la professione come una missione che aiuti a costruire un futuro più giusto, più fraterno, più umano.

MESSAGGIO DI FRANCESCO PER LA 57a
GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

Parlare col cuore. «Secondo verità nella carità» (Ef 4,15)

Cari fratelli e sorelle!
Dopo aver riflettuto, negli anni scorsi, sui verbi “andare e vedere” e “ascoltare” come condizione
per una buona comunicazione, vorrei con questo Messaggio per la LVII Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali soffermarmi sul “parlare con il cuore”. È il cuore che ci ha mosso ad
andare, vedere e ascoltare ed è il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e
accogliente. Dopo esserci allenati nell’ascolto, che richiede attesa e pazienza, nonché la
rinuncia ad affermare in modo pregiudiziale il nostro punto di vista, possiamo entrare nella
dinamica del dialogo e della condivisione, che è appunto quella del comunicare
cordialmente. Una volta ascoltato l’altro con cuore puro, riusciremo anche a parlare seguendo la
verità nell’amore (cf. Ef 4, 15). Non dobbiamo temere di proclamare la verità, anche se a volte
scomoda, ma di farlo senza carità, senza cuore. Perché «il programma del cristiano – come
scrisse Benedetto XVI – è “un cuore che vede”»[1]

. Un cuore che con il suo palpito rivela la
verità del nostro essere e che per questo va ascoltato. Questo porta chi ascolta a sintonizzarsi
sulla stessa lunghezza d’onda, al punto da arrivare a sentire nel proprio cuore anche il palpito
dell’altro. Allora può avvenire il miracolo dell’incontro, che ci fa guardare gli uni gli altri con
compassione, accogliendo le reciproche fragilità con rispetto, anziché giudicare per sentito dire
e seminare discordia e divisioni.
Gesù ci avverte che ogni albero si riconosce dal suo frutto (cf. Lc 6, 44): «L’uomo buono dal
buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il
male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (v. 45). Per questo, per poter
comunicare secondo verità nella carità, occorre purificare il proprio cuore. Solo ascoltando e
parlando con il cuore puro possiamo vedere oltre l’apparenza e superare il rumore indistinto
che, anche nel campo dell’informazione, non ci aiuta a discernere nella complessità del mondo
in cui viviamo. L’appello a parlare con il cuore interpella radicalmente il nostro tempo, così
propenso all’indifferenza e all’indignazione, a volte anche sulla base della
disinformazione, che falsifica e strumentalizza la verità.
Comunicare cordialmente
Comunicare cordialmente vuol dire che chi ci legge o ci ascolta viene portato a cogliere la
nostra partecipazione alle gioie e alle paure, alle speranze e alle sofferenze delle donne e degli
uomini del nostro tempo. Chi parla così vuole bene all’altro perché lo ha a cuore e ne
custodisce la libertà, senza violarla. Possiamo vedere questo stile nel misterioso Viandante che
dialoga con i discepoli diretti a Emmaus dopo la tragedia consumatasi sul Golgota. Ad essi
Gesù risorto parla con il cuore, accompagnando con rispetto il cammino del loro dolore,
proponendosi e non imponendosi, aprendo loro con amore la mente alla comprensione del
senso più profondo dell’accaduto. Essi infatti possono esclamare con gioia che il cuore ardeva
loro nel petto mentre Lui conversava lungo il cammino e spiegava loro le Scritture (cf. Lc 24,
32).
In un periodo storico segnato da polarizzazioni e contrapposizioni – da cui purtroppo anche la
comunità ecclesiale non è immune – l’impegno per una comunicazione “dal cuore e dalle
braccia aperte” non riguarda esclusivamente gli operatori dell’informazione, ma è responsabilità
di ciascuno. Tutti siamo chiamati a cercare e a dire la verità e a farlo con carità. Noi
cristiani, in particolare, siamo continuamente esortati a custodire la lingua dal male (cf. Sal 34,
14), poiché, come insegna la Scrittura, con la stessa possiamo benedire il Signore e maledire
gli uomini fatti a somiglianza di Dio (cf. Gc 3, 9). Dalla nostra bocca non dovrebbero uscire
parole cattive, «ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione,
giovando a quelli che ascoltano» (Ef 4, 29).
A volte il parlare amabile apre una breccia perfino nei cuori più induriti. Ne abbiamo traccia
anche nella letteratura. Penso a quella pagina memorabile del cap. XXI dei Promessi Sposi in
cui Lucia parla con il cuore all’Innominato sino a che questi, disarmato e tormentato da una
benefica crisi interiore, cede alla forza gentile dell’amore. Ne facciamo esperienza nella

convivenza civica dove la gentilezza non è solo questione di “galateo”, ma un vero e
proprio antidoto alla crudeltà, che purtroppo può avvelenare i cuori e intossicare le relazioni. Ne
abbiamo bisogno nell’ambito dei media, perché la comunicazione non fomenti un livore che
esaspera, genera rabbia e porta allo scontro, ma aiuti le persone a riflettere pacatamente, a
decifrare, con spirito critico e sempre rispettoso, la realtà in cui vivono.
La comunicazione da cuore a cuore: “Basta amare bene per dire bene”
Uno degli esempi più luminosi e ancora oggi affascinanti del “parlare con il cuore” è
rappresentato da San Francesco di Sales, Dottore della Chiesa, a cui ho recentemente dedicato
la Lettera Apostolica Totum amoris est, a 400 anni dalla sua morte. Accanto a questo importante
anniversario, mi piace ricordarne in tale circostanza un altro che ricorre in questo 2023: il
centenario della sua proclamazione a patrono dei giornalisti cattolici da parte di Pio XI con
l’Enciclica Rerum omnium perturbationem. Intelletto brillante, scrittore fecondo, teologo di
grande spessore, Francesco di Sales fu vescovo di Ginevra all’inizio del XVII secolo, in anni
difficili, contrassegnati da dispute accese con i calvinisti. Il suo atteggiamento mite, la sua
umanità, la disposizione a dialogare pazientemente con tutti e specialmente con chi lo
contrastava lo resero un testimone straordinario dell’amore misericordioso di Dio. Di lui si
poteva dire che «una bocca amabile moltiplica gli amici, una lingua affabile le buone relazioni»
( Sir 6, 5). Del resto, una delle sue affermazioni più celebri, «il cuore parla al cuore», ha ispirato
generazioni di fedeli, tra cui San John Henry Newman che la scelse come motto, Cor ad cor
loquitur. «Basta amare bene per dire bene», era uno dei suoi convincimenti. Esso dimostra
come per lui la comunicazione non dovesse mai ridursi a un artificio, a – diremmo oggi – una
strategia di marketing, ma fosse il riflesso dell’animo, la superficie visibile di un nucleo d’amore
invisibile agli occhi. Per San Francesco di Sales è proprio «nel cuore e attraverso il cuore che si
compie quel sottile e intenso processo unitario in virtù del quale l’uomo riconosce Dio»[2]
.
“Amando bene” San Francesco riuscì a comunicare con il sordomuto Martino, diventandone
amico; perciò viene ricordato anche come protettore delle persone con disabilità comunicative.
È a partire da questo “criterio dell’amore” che, attraverso i suoi scritti e la sua testimonianza di
vita, il santo vescovo di Ginevra ci ricorda che “siamo ciò che comunichiamo”. Lezione oggi
controcorrente in un tempo nel quale, come sperimentiamo in particolare nei social network, la
comunicazione viene sovente strumentalizzata affinché il mondo ci veda come noi
desidereremmo essere e non per quello che siamo. San Francesco di Sales disseminò
numerose copie dei suoi scritti nella comunità ginevrina. Tale intuizione “giornalistica” gli valse
una fama che superò rapidamente il perimetro della sua diocesi e perdura ancora ai nostri
giorni. I suoi scritti, ha osservato San Paolo VI, suscitano una lettura «sommamente piacevole,
istruttiva, stimolante»[3]

. Se guardiamo oggi al panorama della comunicazione, non sono proprio
queste le caratteristiche che un articolo, un reportage, un servizio radiotelevisivo o un post
sui social dovrebbero soddisfare? Gli operatori della comunicazione possano sentirsi ispirati da
questo santo della tenerezza, ricercando e raccontando la verità con coraggio e libertà, ma
respingendo la tentazione di usare espressioni eclatanti e aggressive.
Parlare con il cuore nel processo sinodale
Come ho avuto modo di sottolineare, «anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di
ascoltarci. È il dono più prezioso e generativo che possiamo offrire gli uni agli altri»[4]
. Da un
ascolto senza pregiudizi, attento e disponibile, nasce un parlare secondo lo stile di Dio, nutrito di
vicinanza, compassione e tenerezza. Abbiamo un urgente bisogno nella Chiesa di una
comunicazione che accenda i cuori, che sia balsamo sulle ferite e faccia luce sul
cammino dei fratelli e delle sorelle. Sogno una comunicazione ecclesiale che sappia lasciarsi
guidare dallo Spirito Santo, gentile e al contempo profetica, che sappia trovare nuove forme e
modalità per il meraviglioso annuncio che è chiamata a portare nel terzo millennio. Una
comunicazione che metta al centro la relazione con Dio e con il prossimo, specialmente il più
bisognoso, e che sappia accendere il fuoco della fede piuttosto che preservare le ceneri di
un’identità autoreferenziale. Una comunicazione le cui basi siano l’umiltà nell’ascoltare e
la parresia nel parlare, che non separi mai la verità dalla carità.

Disarmare gli animi promuovendo un linguaggio di pace
«Una lingua dolce spezza le ossa» dice il libro dei Proverbi (25, 15). Parlare con il cuore è oggi
quanto mai necessario per promuovere una cultura di pace laddove c’è la guerra; per aprire
sentieri che permettano il dialogo e la riconciliazione laddove imperversano l’odio e l’inimicizia.
Nel drammatico contesto di conflitto globale che stiamo vivendo è urgente affermare una
comunicazione non ostile. È necessario vincere «l’abitudine di screditare rapidamente
l’avversario, attribuendogli epiteti umilianti, invece di affrontare un dialogo aperto e
rispettoso»[5]

. Abbiamo bisogno di comunicatori disponibili a dialogare, coinvolti nel
favorire un disarmo integrale e impegnati a smontare la psicosi bellica che si annida nei nostri
cuori, come profeticamente esortava San Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris: «La vera
pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia» (n. 61). Una fiducia che ha bisogno di
comunicatori non arroccati, ma audaci e creativi, pronti a rischiare per trovare un terreno
comune dove incontrarsi. Come 60 anni fa, anche ora viviamo un’ora buia nella quale l’umanità
teme un’ escalation bellica che va frenata quanto prima anche a livello comunicativo. Si rimane
atterriti nell’ascoltare con quanta facilità vengono pronunciate parole che invocano la distruzione
di popoli e territori. Parole che purtroppo si tramutano spesso in azioni belliche di efferata
violenza. Ecco perché va rifiutata ogni retorica bellicistica, così come ogni forma
propagandistica che manipola la verità, deturpandola per finalità ideologiche. Va invece
promossa, a tutti i livelli, una comunicazione che aiuti a creare le condizioni per risolvere le
controversie tra i popoli.
In quanto cristiani, sappiamo che è proprio grazie alla conversione del cuore che si decide il
destino della pace, poiché il virus della guerra proviene dall’interno del cuore umano[6]
. Dal
cuore scaturiscono le parole giuste per diradare le ombre di un mondo chiuso e diviso ed
edificare una civiltà migliore di quella che abbiamo ricevuto. È uno sforzo richiesto a ciascuno di
noi, ma che richiama in particolare il senso di responsabilità degli operatori della
comunicazione, affinché svolgano la propria professione come una missione.
Il Signore Gesù, Parola pura che sgorga dal cuore del Padre, ci aiuti a rendere la nostra
comunicazione libera, pulita e cordiale.
Il Signore Gesù, Parola che si è fatta carne, ci aiuti a metterci in ascolto del palpito dei cuori, per
riscoprirci fratelli e sorelle, e disarmare l’ostilità che divide.
Il Signore Gesù, Parola di verità e di amore, ci aiuti a dire la verità nella carità, per sentirci
custodi gli uni degli altri.
Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2023, memoria di San Francesco di Sales.

[1] Lett. enc. Deus caritas est, 31.
[2] Lett. Ap. Totum amoris est (28 dicembre 2022).
[3] Epistola Apostolica Sabaudiae gemma, nel IV Centenario dalla nascita di San Francesco di Sales, dottore della
Chiesa (29 gennaio 1967).
[4] Messaggio per la LVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2022).
[5] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 201.
[6] Cf. Messaggio per la 56a Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2023.