Omelia dell’Arcivescovo, Mons. Giuseppe Petrocchi, nella MESSA ESEQUIALE PER I SOCCORRITORI, MORTI PER LA CADUTA DELL’ELICOTTERO

(L’Aquila, Chiesa di San Bernardino in Piazza D’Armi, 28 gennaio 2017)

 

Rivolgo il mio ossequio alle Autorità civili, militari e a tutti i Rappresentanti della Società civile. Esprimo anche un cordiale saluto tutti gli Appartenenti a Corpi ed Organismi dello Stato, come pure alle Associazioni di volontariato, che con esemplare sollecitudine, si sono prodigati per assistere le nostre popolazioni, duramente provate dagli ultimi tragici eventi.

In particolare manifesto sentimenti di stima e di affetto verso i Membri del Soccorso Alpino e gli Operatori del 118: infatti, di questi settori, specializzati nel prestare aiuto a persone in difficoltà, facevano parte Walter Bucci, Giuseppe Serpetti, Davide De Carolis, Gianmarco Zavoli, Mario Matrella, morti nell’adempimento della loro missione. Ettore Palanca era loro compagno in questa triste avventura, perché, essendosi infortunato, veniva trasportato in Ospedale.

 

Si avverte un dolore forte e pervasivo, che abita nel cuore dei parenti, ma avvolge anche l’intera comunità, ecclesiale e sociale. La sofferenza, quando raggiunge una intensità alta, provoca un blocco espressivo: l’angoscia viene pienamente avvertita, ma non si riesce a dirla. Si comunica più attraverso gesti, che con le parole, le quali fluiscono in forme essenziali e pronunciate con fatica.

 

Registriamo, attoniti una successione stressante di eventi traumatici, che, come onde impetuose, si sono rovinosamente abbattuti sul nostro territorio e sulla nostra gente. Penso a tutti coloro che hanno perso la vita, e davanti a queste tragedie, una domanda, ci raschia l’anima: “perché? perché queste vite cariche di promesse e di speranze? perché ora, perché così, perché loro?”.

 

Sono interrogativi che vanno rispettati, lasciandoli risuonare nel silenzio dell’anima. Occorre, perciò, resistere alla tentazione di rimuoverli forzatamente, con risposte banali o fuorvianti. Non esistono “anestetici” capaci di sopire questo grido dell’anima: occorre, sostare, con fede, davanti al mistero, lasciando che sia Dio – e Lui solo – a dare la risposta invocata.

 

Anche le “scienze umane” sostengono che l’esperienza “destrutturante” – quella che ci fa ammalare e determina il progressivo smottamento della personalità – non è provocata dall’impatto con la sofferenza, ma scaturisce dal dolore che sembra “senza senso”: avvertito, perciò, come un affronto “senza-motivi” e una sconfitta “senza rimedio”. Se manca la capacità di scoprire e dare valore alla sofferenza, si rimane intossicati, spiritualmente e psicologicamente, da un malessere avvilito o da una rabbia magmatica.

Il Signore, che si è fatto uno di noi e dimora nella nostra storia, proclama che la morte in Lui è già stata sconfitta e che il temporaneo “potere di separazione”, che essa ancora ha in mano, alla fine le sarà tolto. Ci assicura che la vita divina, donata dallo Spirito, rimane oltre la morte: la comunione, infatti, non può essere spezzata, perché l’amore non muore.

La Pasqua di Gesù svela che la morte è passaggio: per questo il prefazio della liturgia, che stiamo celebrando, eleva un inno di fiducia e di speranza: «ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna in cielo» (Prefazio dei defunti, I).

In questa luce, la morte rappresenta un distacco doloroso, ma anche un ingresso nella patria celeste, perché è approdo in una nuova unità con Dio, con se stessi e con gli altri. Superata la porta del tempo avremo l’incontro, faccia a faccia (cfr. 1Cor 13,12), con il Signore, che si mostrerà come Egli è (cfr. 1Gv 3,2): fonte infinita di misericordia e di gioia.

 

Questi nostri fratelli sono morti compiendo un gesto di altruismo: sono persuaso che per tale fedeltà al servizio, praticata fino alla fine, hanno già ottenuto il “passaporto” per il Paradiso.

La fede ci sussurra che non sono vissuti invano, perché nulla di quello che hanno sigillato con l’amore sarà perduto: infatti, ogni azione segnata dalla verità e dalla benevolenza, viene “eternizzata” dallo Spirito del Risorto, ed è custodita fino a quando entreremo nella Casa del Padre, dove Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28).

Il sacrificio di questi fratelli non è muto, ma parla: anzi, alza forte la sua voce e pone, sul futuro, una preziosa ipoteca, che non possiamo ignorare. Sono figli coraggiosi della nostra terra: noi ci inchiniamo davanti al gesto di abnegazione che hanno compiuto e rendiamo loro omaggio, dal profondo del cuore.

L’Italia, attraverso la loro dedizione, ha scritto pagine nobili e belle, degne di essere raccontate al mondo. Le vite donate, infatti, sono “semi di bontà”, destinati a moltiplicarsi in nuove fioriture di impegno gratuito e di servizio agli altri, specialmente i più bisognosi.

Del discorso della montagna, che l’evangelista Matteo ci riferisce, vedo quattro “beatitudini” particolarmente collegate alla missione da loro svolta: “beati i miti”; “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”; “beati i misericordiosi”; “beati gli operatori di pace”. E Gesù dichiara che quanti si impegnano in queste opere evangeliche, saranno chiamati “figli di Dio” e avranno una “grande ricompensa nei cieli” (cfr. Mt 5, 1-12).

Il Signore cammina con noi e prende su di sé tutti gli aspetti della nostra esistenza, anzitutto quelli marcati dal patire. Pertanto, a pieno titolo, Egli risulta Cittadino amatissimo della nostra Regione, nella quale, da sempre, ha fissato la Sua stabile dimora. Ecco perché ci tengo a sottolineare che – specialmente in questi “giorni crocifissi” – “Dio parla abruzzese”. Ho sentito l’eco della Sua voce esprimersi, in dialetto e con toni commossi, quando dialogavo con gli abitanti delle nostre frazioni e, in modo speciale, quando sono andato a trovare le popolazioni stremate dei paesi montani del cratere aquilano.

La nostra gente è tenace e dignitosa: da secoli abituata a soffrire per devastanti calamità naturali. Mai, però, si è piegata alle avversità. Nella sua anima cristiana e nei robusti valori umani, che caratterizzano il suo “genoma montanaro”, ha sempre trovato la forza di rialzarsi e di ricostruire, meglio di prima, il proprio futuro.

Le nostre comunità, specie le più piccole, così duramente provate, hanno bisogno di “respirare” speranza, altrimenti vanno in affanno e rischiano di soffocare lentamente.

Occorre, pertanto che le istituzioni, a livello nazionale, adottino misure legislative lungimiranti e stanziamenti economici adeguati, dimostrando capacità di raccordare, a tutti i livelli, i vari “snodi decisionali” degli apparati pubblici e dando segnali di “prossimità” duratura (e non solo di assistenza immediata, dovuta all’emergenza). Urgono risposte proporzionate, programmazioni efficaci e tempistiche rapide.

È necessario porre la massima cura perché la complessità non diventi complicazione: la pluralità degli interventi istituzionali, infatti, non deve tramutarsi in groviglio normativo e in atrofie burocratiche.

Si tratta di attivare centrali di “solidarietà convergente”, capaci di fornire “energia creativa” alle iniziative mirate a ricostituire, in forma integrale ed integrata, il tessuto spirituale, architettonico, sociale ed economico delle zone colpite dalla furia dei fenomeni naturali.

Proprio perché animati dalla fede, non stiamo qui, con mestizia e rassegnazione, a constatare il trionfo della morte. Crediamo nella Pasqua di Gesù, che trasforma l’umanità e cambia la storia. La morte, se non è stata tolta, è stata già vinta e non ha più l’ultima parola: sappiamo, inoltre, che – come afferma l’apostolo Paolo – alla fine del tempo sarà annientata (cfr. 1Cor 15, 26).

Per questo, anche noi le lanciamo la sfida, usando le parole di un poeta inglese del 1600: «Morte non essere superba, / anche se alcuni ti hanno chiamata possente e terribile, / poiché tu non sei tale, / poiché quelli che tu credi di vincere non muoiono. Povera Morte, tu non puoi uccidermi …. Perché dunque ti gonfi d’orgoglio? / Un breve sonno e noi ci destiamo eterni. / E la Morte non esisterà più. / Morte, tu morirai».

Sappiamo che tra noi, che camminiamo nella storia, e i nostri amici, che abitano l’eternità, rimangono aperte le “strade” della comunione, sulle quali possiamo viaggiare usando le ali della fede, della speranza e della carità.

Inoltre, siamo certi che questi corpi, consegnati alla terra da cui sono stati tratti, risorgeranno, quando il Signore inaugurerà i “cieli nuovi” e la “nuova terra”, nei quali avrà stabile dimora la giustizia (cfr. 2Pt 3,13).

A noi il compito di raccogliere il “testimone” di questi fratelli e continuare a spenderci per costruire un mondo più aperto a Dio e, per questo, più a misura d’uomo, nel quale trovino concreta attuazione le parole del profeta Sofonia: «non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti» (Sof 3, 13).

Rivolgo un sentitissimo grazie al Presidente della Repubblica, Dott. Sergio Mattarella, che, con apprezzata nobiltà d’animo, ha dato parole di conforto e gesti di solidarietà ai Famigliari delle vittime. Venendo, ha portato con sé l’Italia intera!

Esprimo anche affettuosa vicinanza ai Parenti di questi Defunti, a nome di mons. Giuseppe Molinari, Arcivescovo Emerito di L’Aquila, e dell’Arcivescovo, mons. Orlando Antonini, Nunzio Apostolico. Entrambi assicurano la loro preghiera.

Abbraccio uno ad uno e tutti insieme i Famigliari di questi Amici, che oggi, con fiducia, presentiamo al Signore, affidandoli alla Madre di Dio e dell’intera umanità:

“A Te, Vergine Maria, Donna della Pasqua, affidiamo Walter, Giuseppe, Davide, Gianmarco, Mario ed Ettore, che hanno perso la vita nella caduta dell’elicottero che li trasportava. Consegniamo al tuo cuore, colmo di carità, tutti i Defunti, martirizzati dagli eventi avversi che hanno dolorosamente segnato questa stagione della nostra storia. Custodiscili nel tuo amore e, dopo aver ottenuto per loro la grazia della misericordia e 4 della divina benedizione, introducili nella Casa del Padre, dove il sole della carità splende senza tramonto e l’assemblea dei santi innalza il canto della lode al Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto: Colui che era, che è e che viene, l’Onnipotente!” (cfr. Ap, 1,4). Amen!

+ Giuseppe Petrocchi Arcivescovo

 

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