Seguendo l’esempio di Marietta, “è il tempo del ritorno all’essenziale, per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli”. Così Papa Francesco ha scritto in un messaggio che porta la data del 20 giugno fatto pervenire tramite il vescovo Marcello Semeraro, ai vescovi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno e di Albano, le terre che si legano al nome di Maria Goretti, la Santa bambina che a 12 anni morì per evitare un tentativo di violenza il 6 luglio 1902.

Il 6 luglio la Chiesa ne celebrerà la memoria liturgica ed entrano nel vivo le celebrazioni: il 25 giugno a Latina si è svolto un pellegrinaggio notturno e il 26 è stata celebrata una Messa nel luogo del martirio, a Le Ferriere; iniziative che quest’anno rientrano nelle celebrazioni giubilari diocesane.

Sono due i luoghi che ricordano la giovane vita prematuramente spezzata di ‘Marietta’, come tutti la chiamavano e come la ricorda affettuosamente anche il Papa: il santuario di Santa Maria delle Grazie a Nettuno, dove riposa il suo corpo, e la “Tenda del perdono” dove la ragazza morì.

Per questo Francesco ha indirizzato il suo messaggio a entrambe le comunità che venerano in modo particolare Santa Maria Goretti e in questo anno giubilare la ricordano come “testimone del perdono”.

 

Di seguito, il Messaggio di Papa Francesco:

«Mi è stato riferito che durante questo Giubileo della misericordia le vostre comunità hanno voluto rivolgere uno sguardo di particolare attenzione a santa Maria Goretti, venerata come patrona delle vostre Chiese particolari.

La povertà e l’urgente necessità di lavoro spinsero la famiglia Goretti ad emigrare dalla nativa Corinaldo (nelle Marche) nell’Agro Romano prima e poi nel cuore di quelle che erano, all’epoca, le Paludi Pontine, terre fertili ma insidiose a motivo della malaria; lacrime e povertà accompagnavano ieri – come, drammaticamente, ancora oggi – i cammini di famiglie e di popoli che hanno all’origine le cause più varie, fra cui la povertà (cf. Amoris laetitia, n. 46). È una circostanza che ci fa sentire ancora più vicina questa ragazza che, come usavano fare nella famiglia di origine, voi continuate a chiamare Marietta: la famiglia visse con dignità questa situazione e, mentre la mamma Assunta provvedeva al lavoro, Marietta si prendeva cura dei fratelli e accudiva alla casa. È commovente il fervore con il quale Marietta si preparò a ricevere per la prima volta l’Eucaristia e con cui, in seguito, si accostava alla mensa eucaristica. Anche se, vista la situazione dei luoghi e le circostanze della sua vita, si poté cibare di Cristo solo altre poche volte, un testimone ricorda, in proposito, questa significativa espressione della piccola Goretti: “Quando andiamo a fare la comunione? Non vedo l’ora!”; al numero, dunque, supplì l’intensità dell’amore per Gesù Eucaristia, senza la cui forza non avrebbe potuto compiere la scelta fondamentale della sua breve esistenza, per cui il venerabile Pio XII, il giorno della sua canonizzazione, poteva affermare che il candido giglio della sua verginità era stato imporporato dal sangue dei martiri” (cf. AAS 42 [1950], 579).

Mi piace oggi porre in evidenza che, nel momento in cui, ferita a morte, compì la scelta suprema della sua vita, Marietta non pensava più a se stessa, ma a proteggere chi la colpiva a morte: “Così vai all’inferno…”, ripeteva ad Alessandro Serenelli! Conosciamo pure le parole di perdono che ella ebbe per lui; sul letto di morte, al cappellano dell’ospedale di Nettuno, disse: “Lo perdono, e lo voglio con me in paradiso”. Nella bolla Misericordiae vultus ho sottolineato che “il perdono […] diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore” (n. 9). Proprio questa generosissima offerta di perdono accompagna la morte serena della giovane Marietta e costituisce per il suo uccisore l’inizio di quel sincero cammino di conversione che, alla fine, lo condurrà a gustare il fiducioso abbandono nelle braccia del Padre delle misericordie.

So che, in tanti, insieme ai vostri Vescovi, vi raccoglierete nei luoghi legati alla memoria di Marietta: a Le Ferriere, dove fu colpita a morte; presso la “tenda del perdono” a Nettuno, dove morì; al Santuario della Madonna delle Grazie e di Santa Maria Goretti, dove è venerato il suo corpo. Questo recarvi nei luoghi in cui viva è la sua memoria, vi stimoli ad impegnarvi, come la Santa che venerate, ad essere testimoni del perdono. Come ho scritto nella bolla Misercordiae vultus, è “giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza” (n. 10(: è questo l’augurio con cui, di cuore, vi faccio giungere il io saluto e la mia benedizione e, insieme, la richiesta di non dimenticarvi di pregare per me. Francesco»

(“Avvenire” di Domenica 26 giugno, pag. 25)

 

A proposito dell’argomento, nel sito di Radio Vaticana si trova questo testo.

 

“La Santa bambina che perdonò il suo aguzzino

Questo l’aspetto della Santa messo in evidenza dal Pontefice, che ricorda come la giovane, sul letto di morte, perdonò il suo aguzzino con parole che rievocano quelle di Gesù sulla Croce: “Lo perdono e lo voglio con me in paradiso”. “Il perdono è l’espressione più evidente dell’amore misericordioso – scrive il Papa – lo strumento messo nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”. Un perdono che non lasciò indifferente Alessandro Serenelli, il suo uccisore, che all’uscita dal carcere, nel 1928, aveva abbracciato la conversione e si recò dalla madre di Marietta per farsi perdonare e accostarsi, con lei, all’Eucaristia.

 

La sua breve vita illuminata dalla gioia dell’accostarsi all’Eucaristia

Nella sua breve vita Marietta non poté accostarsi molte volte all’Eucaristia, ma lo fece “con un’intensità e una forza senza la quale non avrebbe potuto compiere la scelta fondamentale della sua breve esistenza”. “Quando andiamo a fare la Comunione? Non vedo l’ora”, diceva con fervore alla sua mamma, come sottolinea oggi Francesco.

 

La povertà della famiglia Goretti li costrinse a emigrare

Perdono, accoglienza e testimonianza, ma c’è un altro aspetto nella vita della famiglia di Marietta che il Papa ha tenuto a ricordare: la povertà. Una necessità che spinse i Goretti a spostarsi dalle native Marche alle Paludi Pontine, terre fertili ma insidiose, accompagnati solo dalle lacrime del distacco, che accomunano i migranti di allora a quelli di oggi”.

 

 E di Alessandro Serenelli, cosa dire?

 Al processo penale, Alessandro Serenelli, l’uccisore di Santa Maria Goretti, fu condannato a trent’anni di reclusione. Quando, tempo dopo, un sacerdote andò a trovarlo, il Serenelli inveì scagliandosi contro di lui, ma il sacerdote gli disse: “Presto, Alessandro, sarai tu a cercarmi. Ci penserà Maria”. Il prigioniero contrariato gli gridò: “Mai, non voglio vederti mai più”. Ma nel quarto anno di reclusione ebbe una strada visione, che diede inizio alla sua conversione: “Idee sempre più violente di disperazione mi turbavano la mente, quando una notte faccio un sogno: mi vedo davanti a un giardino e in un riquadro, tutto di fiori bianchi e gigli, vedo scendere Marietta, bellissima, bianco vestita, la quale, man mano che coglie i gigli, me li presenta e mi dice: “Prendi” e mi sorride come un angelo. Io accetto quei gigli fino ad averne le braccia piene…”

Con il processo, Serenelli era stato condannato a una pena di 30 anni di reclusione: evitò l’ergastolo perché per le leggi di allora non era ancora maggiorenne. Uscì di prigione nel 1929, dopo aver scontato 27 anni di carcere. Dei 30 ricevuti, infatti, un anno gli fu condonato con l’indulto ricevuto da tutti i detenuti dopo la vittoria italiana nella prima guerra mondiale, mentre due gli furono abbonati per buona condotta.

Nella notte di Natale del 1934 chiese perdono in ginocchio alla madre di Maria Goretti, che acconsentì a perdonarlo, poiché anche sua figlia lo aveva fatto in punto di morte. Dopo aver lavorato saltuariamente come agricoltore e manovale, si ritirò in un convento di Padri Cappuccini, ricevendo le mansioni di giardiniere e portinaio.

Nel 1950 Maria Goretti venne canonizzata da papa Pio XII alla presenza del Serenelli.

Serenelli morì per le conseguenze di una frattura del femore provocata da una caduta il 6 maggio 1970, all’età di 87 anni, in un convento di Macerata, lasciando il seguente testamento autografo, datato 5 maggio 1961:

«Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia prima giovinezza infilai una strada falsa: la via del male che mi condusse alla rovina. Vedevo attraverso la stampa, gli spettacoli e i cattivi esempi che la maggior parte dei giovani segue quella via, senza darsi pensiero: ed io pure non me ne preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta che mi sospingeva per una strada cattiva. Consumai a vent’anni il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo. Maria Goretti, ora santa, fu l’angelo buono che la Provvidenza aveva messo avanti ai miei passi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per me, suo uccisore.

Seguirono trent’anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata; rassegnato espiai la mia colpa. Maria fu veramente la mia luce, la mia Protettrice; col suo aiuto mi diportai bene e cercai di vivere onestamente, quando la società mi riaccettò tra i suoi membri. I figli di San Francesco, i Minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto fra loro non come un servo, ma come fratello. Con loro vivo dal 1936.
Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore e alla sua cara mamma, Assunta.

Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene, sempre, fin da fanciulli. Pensino che la religione coi suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, la unica via sicura in tutte le circostanze, anche le più dolorose della vita.
Pace e bene!».

maria_Goretti