DOMENICA 5 Gennaio 2014

GLORIA A TE, O CRISTO ANNUNCIATO ALLE GENTI

LA liturgia odierna ci invita ad approfondire il significato della festa del Natale. L’incarnazione del Verbo è la rivelazione perfetta e insuperabile del mistero di Dio. Il disegno di Dio sull’umanità è svelato: si tratta ora di accogliere il Verbo fatto carne. Egli ci dà il potere di diventare figli e figlie di Dio. E il Padre nel Verbo incarnato vede e ama ogni persona umana. La pagina del Siracide (I Lettura) è un inno in cui si celebra “l’incarnazione” della sapienza divina, che si è manifestata nella creazione e ancor più nell’opera della salvezza. Essa ha, quindi, preso dimora in Gerusalemme, abita cioè la parola di Dio e la risposta dell’uomo. L’apostolo Paolo apre la lettera agli Efesini con un testo (II Lettura) in cui si esalta il dono della salvezza che Dio ha attuato per noi in Cristo. Il prologo del Vangelo di Giovanni, già proclamato a Natale, è come il volo d’aquila che si alza fino a Dio. È lo sguardo della fede che penetra nel seno della Trinità e ci dice che il Verbo, eterno con il Padre e lo Spirito Santo, si è fatto uomo e ha posto la sua tenda in mezzo a noi. (da La Domenica)

COMMENTO

 E’ il prologo del Vangelo di S. Giovanni, che sintetizza il mistero dell’Incarnazione. La Liturgia ce lo propone per farne gustare l’altezza e la profondità. Vogliamo coglierne alcuni aspetti, che ci aiutino a comprendere il ruolo che esso deve giocare nella nostra vita di cristiani.
Il punto culminante del brano è espresso nel v. 14: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Colui che viene ad abitare in mezzo a noi è il Figlio di Dio “per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”. “Farsi carne” non significa puramente farsi uomo. La parola greca “sarx” (= carne) – la quale corrisponde a quella ebraica “basar” – contrassegna l’uomo nel suo stato di debolezza, di
 morte ed anche di peccabilità. Manifesta tutto il realismo dell’incarnazione. Il Figlio di Dio l’eterno, si inserisce nel flusso del tempo; Egli, l’infinito, assume forma umana. Si fa completamente solidale con l’uomo. E’ il profondo e volontario suo abbassamento.
Egli viene per “abitare in mezzo a noi”; il testo greco esprime la ricchezza di questo venire ad abitare in mezzo, dicendo: Egli “pone la sua tenda in mezzo a noi”. Non si tratta di una presenza passeggera. Il Figlio di Dio resta, ormai è diventato uno di noi. Il cosmo, lo spazio e il tempo, la storia, le cose, l’uomo, tutto acquista finalmente un senso perché in essi si inserisce il Figlio di Dio. Ed è sorprendente che in questo suo abbassarsi, nel suo farsi uno di noi, si rivela la sua gloria.
Egli viene; ed è vita per l’uomo, è luce che annulla le tenebre del peccato. E’ venuto per amore dell’uomo, per salvarlo dal peccato. Ecco perché il suo essere nel mondo divide l’umanità in figli della luce, (coloro che lo accolgono), e in i figli delle tenebre: quelli che lo respingono. Coloro che l’accettano ricevono il potere di “diventare figli di Dio”.

Il brano del Vangelo ci mette di fronte all’immenso amore di Dio. E’ proprio questo amore che provoca alla scelta.
Anche oggi siamo provocati ad aprirci con stupore davanti a Lui che viene incontro a noi nella forma di un bambino nato in una mangiatoia. Lo stupore si deve trasformare in contemplazione, in adorazione dell’amore di Dio.
Ma nel brano del vangelo c’è l’affermazione, la proclamazione della dignità dell’uomo. Dio non soltanto ci ha amato, ma ci ha fatto suoi figli in Cristo Gesù. Il Figlio di Dio “si è fatto ciò che siamo per renderci partecipi di ciò che Egli è” (San Cirillo d’Alessandria).
In altri termini nella pagina del vangelo odierno riconosciamo il volto di Dio, ma anche il nostro volto, la nostra identità di figli di Dio. Essere figli di Dio e vivere come tali: questa è verità che deve dare senso alla nostra esistenza ed orientarla. (da Confraternita di San Giovanni Battista de’ Genovesi)