Pubblichiamo il testo dell’Introduzione del Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della CEI, ai lavori della sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente, che si svolge a Roma dal 22 al 24 marzo 2021.

 

Cari Confratelli,

questa sessione del Consiglio Permanente si svolge nei giorni che ci conducono alla celebrazione della Domenica della Passione del Signore: giornate, dunque, in cui siamo particolarmente chiamati alla preghiera, all’approfondimento della fede, alla conversione e al rinnovamento del cuore e della vita.

Chiediamo al Signore di trascorrere in stretta unione con Lui questo tempo di lavoro, di riflessione e di reciproca comunione, lasciandoci guidare in tutto dal suo Santo Spirito per adempiere con fedeltà e con frutto il nostro comune servizio al Popolo di Dio che è in Italia.

 

1. Il nostro primo pensiero si rivolge a Papa Francesco. Abbiamo ancora negli occhi le immagini del recente viaggio apostolico in Iraq (5-8 marzo 2021). La sua è stata una presenza mite e umile in quella terra martoriata che però non ha perso la fede e la memoria dei primi passi del patriarca Abramo (cf. Gen 11, 31). Francesco continua a costruire ponti di pace con le altre religioni, ribadendo il rifiuto di ogni violenza in nome di Dio. In Iraq ha voluto portare una testimonianza di vicinanza concreta alla comunità cristiana, che negli ultimi anni ha sofferto la persecuzione e che spesso si è dovuta sottomettere a un doloroso esilio. Muovendosi in mezzo alle rovine materiali, Francesco ha cercato soprattutto di curare le ferite spirituali. Proprio lì ha posto gesti e ha pronunciato parole di pace e di speranza per il futuro. Tutto ciò ha tanto da insegnare anche a noi, chiamati oggi in Italia a dare un contributo fattivo di comunione, collaborazione e fiducia nell’avvenire. Un breve passaggio del discorso del Santo Padre alla Piana di Ur è utile anche alla nostra riflessione: «Oggi […] onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra. […] Gli occhi al cielo non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra, a intraprendere un viaggio che, attraverso la sua discendenza, avrebbe toccato ogni secolo e latitudine. […] Il suo fu dunque un cammino in uscita, che comportò sacrifici […] Il cammino di Abramo fu una benedizione di pace. Ma non fu facile: egli dovette affrontare lotte e imprevisti. Anche noi abbiamo davanti un cammino accidentato, ma abbiamo bisogno, come il grande patriarca, di fare passi concreti, di peregrinare alla scoperta del volto dell’altro, di condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze» (Discorso alla Piana di Ur, 6 marzo 2021).

L’immagine di Abramo, che guarda le stelle e, al contempo, compie passi concreti dalla sua terra di origine verso la scoperta del volto dell’altro, si adatta bene a quanto discuteremo in questi giorni e a quanto ci aspetta a breve. Il Popolo di Dio ci chiede anzitutto una parola “alta”, che sappia indicare il cielo, che non si ripieghi sulle logiche personalistiche o campanilistiche. Ci viene chiesta una visione prospettica a lungo termine, che mostri la bellezza delle grandi imprese. Dobbiamo quindi restare con i piedi per terra e programmare con realismo il cammino da intraprendere. È stata questa l’esperienza che ha fatto anche Abramo: mentre guardava le stelle, sapeva camminare al ritmo della sua famiglia lungo i percorsi indicati dal Signore.

In questo ci offre un importante stimolo l’Anno della Famiglia Amoris Laetitia, aperto il 19 marzo, solennità di san Giuseppe. Un Anno speciale per crescere nell’amore familiare e riportare la famiglia al centro dell’attenzione della Chiesa e della società. D’altronde, «il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa» (AL 31). Lo stiamo sperimentando, in modo emblematico, nelle sofferenze generate dalla pandemia. Quante comunità domestiche, intessute di amore sincero e generoso, continuano a essere fonte di gioia pur nelle prove e nelle difficoltà! Sono la bellezza e la gratuità dell’amore che riescono ad abbattere le barriere e a liberare il cuore oltre gli ostacoli del momento presente.

Con questo stesso spirito, membri dell’unica famiglia umana, abbiamo ricordato nei giorni scorsi la triste ricorrenza dei dieci anni di guerra in Siria. «La guerra non risolve mai i conflitti; al contrario, essa genera una catena di ulteriori violenze e morte», è l’amara constatazione condivisa con i nostri Confratelli del Mediterraneo durante l’Incontro di Bari (19-23 febbraio 2020). Rinnoviamo oggi il nostro appello perché cessi il conflitto: non si aggiunga alla disperazione della guerra quella dovuta alla pandemia. Alla Chiesa siriana assicuriamo la nostra vicinanza e solidarietà. Auspico che il progetto di un’ulteriore tappa nel cammino di condivisione tra le Chiese e i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo possa tenersi a breve, seguendo la visione profetica dei “Dialoghi mediterranei” di Giorgio La Pira.

 

2. Sul versante civile e sociale, il difficile momento che il nostro Paese e il mondo intero stanno attraversando a causa della pandemia chiama in causa urgenti decisioni e grandi responsabilità politiche. E proprio a coloro che reggono ruoli politici e amministrativi a ogni livello, dai sindaci fino alle più alte cariche dello Stato, deve anzitutto andare la nostra gratitudine e il nostro sostegno, accompagnati dalla preghiera della comunità cristiana, affinché prevalgano – pur nel rispetto dei differenti ruoli e posizioni – una unità di intenti e una costante ricerca delle risposte più appropriate per far fronte alle necessità dei cittadini e delle famiglie, a partire dalle persone più fragili. Al nuovo Governo, che può contare su un’ampia maggioranza in Parlamento, è richiesto in particolare d’implementare la campagna vaccinale e di sostenere il sistema economico per evitare che la crisi si aggravi con ulteriori ricadute sull’occupazione e, in definitiva, sui redditi familiari. Il Paese necessita inoltre di segnali incoraggianti verso il mondo della scuola: la didattica a distanza si è certo rivelata una risposta alternativa alla chiusura degli Istituti, ma essa non sostituisce il bisogno di relazione umana ed educativa che la scuola stessa può assicurare ai nostri ragazzi. Rileviamo, con attenzione, l’impegno a camminare nel solco della transizione ecologica. Sarà importante che alle idee si affianchino scelte concrete. Come ricordiamo nell’Instrumentum laboris della 49ª Settimana Sociale di Taranto, la transizione ecologica «è insieme sociale ed economica, culturale e istituzionale, individuale e collettiva» (IL 27). È auspicabile ci sia grande condivisione per produrre effetti sul mondo del lavoro: troppi giovani, infatti, sono costretti ad abbandonare le aree interne del Paese e molte famiglie, soprattutto quelle appartenenti alle categorie più fragili, invocano prospettive di occupazione. Queste attenzioni devono stimolare un percorso da realizzare in stretta collaborazione con le tante espressioni della società civile già impegnate in questo campo. «Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza» (Fratelli tutti, 33).

 

3. Quest’anno è stato segnato in maniera indelebile dalla pandemia da Covid-19 che ha travolto il mondo intero. Nel nostro Paese, ad oggi, si contano più di 100mila morti per il virus. La situazione emergenziale si è trasformata rapidamente in criticità permanente mettendo a dura prova i sistemi sanitari e la loro capacità di fornire assistenza non solo a chi ha sviluppato le forme più gravi del virus, ma anche a tutti quei malati alle prese con altre patologie. Nonostante l’impegno inesauribile e ininterrotto degli operatori sanitari, la scarsità di risorse umane e materiali determina un preoccupante rallentamento o dilazione di altre attività ordinarie, come la prevenzione o, in alcuni casi, il trattamento stesso. Una sofferenza nella sofferenza da non dimenticare né sottovalutare, le cui conseguenze vedremo, purtroppo, nei prossimi anni.

Se oggi possiamo scorgere un barlume di luce alla fine del tunnel lo dobbiamo alle possibilità offerte dai vaccini, consapevoli che la vaccinazione, così come è avvenuto per altre malattie nel passato, è la via che consentirà di superare la situazione attuale. Guardiamo quindi con fiducia alla campagna vaccinale, condotta con prudenza e serietà. Attraverso l’eventualità inserita nel piano vaccinale di utilizzare strutture edilizie delle Chiese che sono in Italia, abbiamo modo di poter fornire un nuovo contributo di carità. La messa a disposizione di questi luoghi, che non sono quelli liturgici, s’inserisce in continuità con un cammino già avviato in tal senso presso numerose Diocesi che, in spazi idonei, ospitano medici, infermieri, Protezione civile, persone in quarantena, ammalati, poveri e quanti soffrono a causa del Covid.

Inoltre, come ha ricordato Papa Francesco, evitiamo che la disponibilità dei vaccini e la capacità di somministrarli creino ulteriori divisioni e disuguaglianze nel mondo. Abbiamo il dovere di pensare e garantire soluzioni accessibili anche a chi vive in Paesi meno fortunati.

 

4. Nel Consiglio Permanente dello scorso gennaio abbiamo parlato delle diverse fratture provocate dal Covid-19, torniamo ora a rivolgere lo sguardo su due particolarmente angosciose: la povertà e l’educazione.

La crisi economica, conseguente alla crisi sanitaria, ha messo in ginocchio molti piccoli imprenditori e altrettante famiglie, rivelandosi terreno fertile per l’espandersi dei tentacoli dell’usura, della criminalità, delle mafie. La crepa in cui s’insinua il grimaldello dell’illegalità è la povertà, e gli elementi che giungono dai nostri osservatori – Caritas e Consulta nazionale antiusura, nello specifico – non lasciano margini di dubbio sulla temibile frattura che ci troviamo di fronte.

I dati forniti da una rilevazione nazionale condotta da Caritas italiana (chiusa a febbraio 2021) testimoniano numeri davvero impressionanti relativi all’intero anno 2020: nel corso di dodici mesi sono state quasi due milioni le persone supportate, in varie modalità, dai servizi promossi dalle Caritas diocesane e parrocchiali.

Per questo la Consulta nazionale antiusura esorta ad evitare che, in questa situazione, le mafie si presentino come benefattori tramite un’economia parallela e l’uso del cosiddetto “welfare criminale”, che la malavita è in grado di offrire ai soggetti più fragili. A fronte di famiglie senza reddito e d’imprese con grande fame di liquidità è vitale intervenire tempestivamente con finanziamenti che non gravino sul debito preesistente e aiutino non solo la ripresa ma, prima di tutto, a vivere dignitosamente. In questo scenario condividiamo la preoccupazione per il declino demografico del nostro Paese: occorre creare un quadro economico, sociale e culturale favorevole al rilancio e al sostegno delle famiglie e dei progetti dei giovani.

 

5. La seconda frattura riguarda l’educazione: la pandemia sta, infatti, incidendo pesantemente sui contesti educativi delle nuove generazioni. Accanto agli anziani sono soprattutto i più giovani a vedere modificata nel profondo la loro vita quotidiana: le attività scolastiche sono condizionate dalle restrizioni; le possibilità di attività sportive ed extrascolastiche sono ridotte al minimo; le nostre stesse attività pastorali ne stanno risentendo in modo significativo. Il ricorso alla cosiddetta didattica a distanza (DaD) è modalità tanto doverosa nel tentativo di contenimento dei contagi, quanto complessa dal punto di vista dell’applicazione. E qui il discorso si lega alla povertà, perché la DaD ha messo in luce il doloroso divario, non solo digitale, che attraversa l’Italia al Nord come al Sud e non permette a tutti i nostri ragazzi di fruire del diritto all’istruzione a parità di condizioni. La scuola, luogo fisico e spazio della formazione completa, non si limita a dare nozioni, ma unisce, integra, include, accompagna. È pertanto urgente intervenire a sostegno di questi ragazzi, per non rassegnarsi a un’incolmabile disparità: da un lato, coloro che potranno poi contare su una rete familiare sollecita e sulla possibilità, anche economica, di recuperare eventuali lacune; dall’altro, i “sommersi”, tutti coloro che, lasciati soli, si perderanno nelle pieghe della dispersione. Torna attuale l’insegnamento di don Lorenzo Milani: «Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali. […] Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati».

In una situazione oggettivamente inedita e complicata, ci è chiesto di continuare a coltivare un rapporto educativo capace di relazione, prossimità, ascolto, attenzione, supporto, fiducia. È un atto di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni; è un atto cruciale di speranza.

 

6. Cari Confratelli, lo sguardo attento sulla realtà attuale invoca una particolare presenza di speranza della comunità ecclesiale accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo. Stiamo vivendo un momento pastorale complicato per le nostre Chiese, le nostre parrocchie. La fatica di tanti – parroci, catechisti, educatori, operatori pastorali – è evidente. A ognuno di loro il nostro grazie: prendersi cura delle persone e vivere il Vangelo in questo tempo sono due tessere importanti per il futuro ecclesiale. C’è una bella immagine che appartiene alla nostra storia, riportata nella Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (30 maggio 2004), che rimanda agli Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Da quel documento emergono spunti di grande attualità: «Le parrocchie devono essere dimore che sanno accogliere e ascoltare paure e speranze della gente […]; (occorre) proporre nuovi e praticabili itinerari per l’iniziazione o la ripresa della vita cristiana […]; la domenica, giorno del Signore, della Chiesa e dell’uomo, sta alla sorgente, al cuore e al vertice della vita parrocchiale […]; una parrocchia missionaria è al servizio della fede delle persone, soprattutto degli adulti, da raggiungere nelle dimensioni degli affetti, del lavoro e del riposo […]; c’è bisogno di parrocchie che siano case aperte a tutti, si prendano cura dei poveri, collaborino con altri soggetti sociali e con le istituzioni […]; le parrocchie non possono agire da sole: ci vuole una “pastorale integrata” […]; una parrocchia missionaria ha bisogno di “nuovi” protagonisti: una comunità che si sente tutta responsabile del Vangelo […]».

Come non vedere in questa immagine di parrocchia il preludio a quel cammino sinodale cui ci ha sollecitati Papa Francesco lo scorso 30 gennaio durante l’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale? «La Chiesa italiana – ha detto il Santo Padre – deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare». La nostra riflessione sul cammino sinodale si fonda sul «nuovo umanesimo in Cristo Gesù», tratteggiato al Convegno di Firenze, e sulla realtà attuale, che parla di sofferenza, smarrimento, rabbia e angoscia per il futuro. Il processo sinodale diventa, dunque, opportunità per essere insiemefare insieme e camminare insieme con il Risorto. Quali sono le attese delle persone per il futuro? Quali sono le nostre attese, le attese delle nostre Chiese, del Santo Popolo di Dio? Sono le domande che ci devono guidare per non mancare un altro passaggio, forse decisivo, con la storia. Ecco, allora, alcuni spunti sulla sinodalità che possono sostenere il nostro confronto. Innanzitutto, essere insieme, inteso come fare comunità, essere in comunione, avere lo stesso modo di vedere o di sentire, «avere gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri» (cf. Rm 12, 16) oppure, ancora meglio, «fare di tutto per essere una sola cosa» (cf. Gv 17, 21). Si tratta di mantenere l’unità nella diversità o di «conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace» (Ef 4, 3). È anche “prendere decisioni insieme” in modo condiviso, assembleare. C’è poi il fare insieme, inteso come capacità di fare comunione, di produrre qualcosa di comune, di avere in comune lo stesso progetto. La sinodalità non è solo fraternità, ma anche sinergia, organicità e, soprattutto, corresponsabilità; non è solo comunione interiore, ma anche esteriore. Questo è il “carisma della sintesi”, del camminare insieme, del synodòs appunto. Solo così tutto l’insieme funziona bene per l’edificazione della comunità. Infine, c’è il camminare insieme con il Risorto. È l’aspetto più profondo della sinodalità, che risponde alla domanda: insieme con chi? Senz’altro insieme gli uni con gli altri, ma prima di tutto con il Signore Risorto. È Lui che, per primo, cammina con noi (cf. Lc 24, 15) e noi camminiamo sempre, a volte senza accorgercene, insieme con Lui (cf. Lc 24, 16). È qui il segreto della sinodalità: l’intreccio tra basso e alto, centro e periferia. Il futuro delle nostre Chiese passa da questo movimento continuo e dinamico. Nel suo dipanarsi diventa esso stesso comunità che annuncia, celebra e tesse la rete della fraternità.

 

Cari Confratelli, proseguiamo il nostro itinerario quaresimale avendo davanti a noi la luce della risurrezione del nostro unico Salvatore e affidiamo queste giornate all’intercessione della Vergine Maria, del suo sposo Giuseppe e dei Santi e delle Sante venerati nelle nostre Chiese.

 

22 Marzo 2021