Lettera di Francesco ai Vescovi di tutto il mondo

per presentare il Motu Proprio «Traditionis Custodes»

sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970

 

Roma, 16 luglio 2021

Cari Fratelli nell’Episcopato,

come già il mio Predecessore Benedetto XVI fece con Summorum Pontificum, anch’io intendo accompagnare il Motu proprio Traditionis custodes con una lettera, per illustrare i motivi che mi hanno spinto a questa decisione. Mi rivolgo a Voi con fiducia e parresia, in nome di quella condivisione nella «sollecitudine per tutta la Chiesa, che sommamente contribuisce al bene della Chiesa universale», come ci ricorda il Concilio Vaticano II[1].

Sono evidenti a tutti i motivi che hanno mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del Sacrificio eucaristico. La facoltà, concessa con indulto della Congregazione per il Culto Divino nel 1984[2] e confermata da san Giovanni Paolo II nel Motu proprio Ecclesia Dei del 1988[3], era soprattutto motivata dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre. La richiesta, rivolta ai Vescovi, di accogliere con generosità le «giuste aspirazioni» dei fedeli che domandavano l’uso di quel Messale, aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa.

Quella facoltà venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI. Per regolare tale situazione, Benedetto XVI intervenne sulla questione a distanza di molti anni, regolando un fatto interno alla Chiesa, in quanto molti sacerdoti e molte comunità avevano «utilizzato con gratitudine la possibilità offerta dal Motu proprio» di san Giovanni Paolo II. Sottolineando come questo sviluppo non fosse prevedibile nel 1988, il Motu proprio Summorum Pontificum del 2007 intese introdurre in materia «un regolamento giuridico più chiaro»[4]. Per favorire l’accesso a quanti – anche giovani –, «scoprono questa forma liturgica, si sentono attirati da essa e vi trovano una forma particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia»[5], Benedetto XVI dichiarò «il Messale promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII come espressione straordinaria della stessa lex orandi», concedendo una «più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962»[6].

A sostenere la sua scelta era la convinzione che il tale provvedimento non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali del concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo l’autorità: il Motu proprio riconosceva a pieno titolo che «il Messale promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino»[7]. Il riconoscimento del Messale promulgato da san Pio V «come espressione straordinaria della stessa lex orandi» non voleva in alcun modo misconoscere la riforma liturgica, ma era dettato dalla volontà di venire incontro alle «insistenti preghiere di questi fedeli», concedendo loro di «celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa»[8]. Lo confortava nel suo discernimento il fatto che quanti desideravano «trovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia», «accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II ed erano fedeli al Papa e ai Vescovi»[9]. Dichiarava inoltre infondato il timore di spaccature nelle comunità parrocchiali, perché «le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda»[10]. Perciò invitava i Vescovi a superare dubbi e timori e a ricevere le norme, «vigilando affinché tutto si svolga in pace e serenità», con la promessa che «si potevano cercare vie per trovare rimedio», nel caso fossero «venute alla luce serie difficoltà» nell’applicazione della normativa dopo «l’entrata in vigore del Motu proprio»[11].

A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso «fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente»[12], è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni.

Mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia. Al pari di Benedetto XVI, anch’io stigmatizzo che «in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile»[13]. Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”. Se è vero che il cammino della Chiesa va compreso nel dinamismo della Tradizione, «che trae origine dagli Apostoli e che progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo» (DV 8), di questo dinamismo il Concilio Vaticano II costituisce la tappa più recente, nella quale l’episcopato cattolico si è posto in ascolto per discernere il cammino che lo Spirito indicava alla Chiesa. Dubitare del Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico[14], e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa.

Proprio il Concilio Vaticano II illumina il senso della scelta di rivedere la concessione permessa dai miei Predecessori. Tra i vota che i Vescovi hanno indicato con più insistenza emerge quello della piena, consapevole e attiva partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla liturgia[15], in linea con quanto già affermato da Pio XII nell’enciclica Mediator Dei sul rinnovamento della liturgia[16]. La costituzione Sacrosanctum Concilium ha confermato questa richiesta, deliberando circa «la riforma e l’incremento della liturgia»[17], indicando i principi che dovevano guidare la riforma[18]. In particolare, ha stabilito che quei principi riguardavano il Rito Romano, mentre per gli altri riti legittimamente riconosciuti, chiedeva che fossero «prudentemente riveduti in modo integrale nello spirito della sana tradizione e venga dato loro nuovo vigore secondo le circostanze e le necessità del tempo»[19]. Sulla base di questi principi è stata condotta la riforma liturgica, che ha la sua espressione più alta nel Messale Romano, pubblicato in editio typica da san Paolo VI[20] e riveduto da san Giovanni Paolo II[21]. Si deve perciò ritenere che il Rito Romano, più volte adattato lungo i secoli alle esigenze dei tempi, non solo sia stato conservato, ma rinnovato «in fedele ossequio alla Tradizione»[22]. Chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non stenterà a trovare nel Messale Romano riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II tutti gli elementi del Rito Romano, in particolare il canone romano, che costituisce uno degli elementi più caratterizzanti.

Un’ultima ragione voglio aggiungere a fondamento della mia scelta: è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione – «Io sono di Paolo; io invece sono di Apollo; io sono di Cefa; io sono di Cristo» –, contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo[23]. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la Messa con il Missale Romanum del 1962. Poiché «le celebrazioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento di unità”»[24], devono essere fatte in comunione con la Chiesa. Il Concilio Vaticano II, mentre ribadiva i vincoli esterni di incorporazione alla Chiesa – la professione della fede, dei sacramenti, della comunione –, affermava con sant’Agostino che è condizione per la salvezza rimanere nella Chiesa non solo “con il corpo”, ma anche “con il cuore”[25].

Cari fratelli nell’Episcopato, Sacrosanctum Concilium spiegava che la Chiesa «sacramento di unità» è tale perché è «Popolo santo adunato e ordinato sotto l’autorità dei Vescovi»[26]. Lumen gentium, mentre ricorda al Vescovo di Roma di essere «perpetuo e visibile principio e fondamento di unità sia dei vescovi, sia della moltitudine dei fedeli», dice che Voi siete «visibile principio e fondamento di unità nelle vostre Chiese locali, nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa cattolica»[27].

Rispondendo alle vostre richieste, prendo la ferma decisione di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente Motu Proprio, e di ritenere i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, come l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano. Mi conforta in questa decisione il fatto che, dopo il Concilio di Trento, anche san Pio V abrogò tutti i riti che non potessero vantare una comprovata antichità, stabilendo per tutta la Chiesa latina un unico Missale Romanum. Per quattro secoli questo Missale Romanum promulgato da san Pio V è stato così la principale espressione della lex orandi del Rito Romano, svolgendo una funzione di unificazione nella Chiesa. Non per contraddire la dignità e grandezza di quel Rito i Vescovi riuniti in concilio ecumenico hanno chiesto che fosse riformato; il loro intento era che «i fedeli non assistessero come estranei o muti spettatori al mistero di fede, ma, con una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipassero all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente»[28]. San Paolo VI, ricordando che l’opera di adattamento del Messale Romano era già stata iniziata da Pio XII, dichiarò che la revisione del Messale Romano, condotta alla luce delle più antiche fonti liturgiche, aveva come scopo di permettere alla Chiesa di elevare, nella varietà delle lingue, «una sola e identica preghiera» che esprimesse la sua unità[29]. Questa unità intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano.

Il Concilio Vaticano II, descrivendo la cattolicità del Popolo di Dio, rammenta che «nella comunione ecclesiale esistono le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva»[30]. Mentre, nell’esercizio del mio ministero al servizio dell’unità, assumo la decisione di sospendere la facoltà concessa dai miei Predecessori, chiedo a Voi di condividere con me questo peso come forma di partecipazione alla sollecitudine per tutta la Chiesa. Nel Motu proprio ho voluto affermare come spetti al Vescovo, quale moderatore, promotore e custode della vita liturgica nella Chiesa di cui è principio di unità, regolare le celebrazioni liturgiche. Spetta perciò a Voi autorizzare nelle vostre Chiese, in quanto Ordinari del luogo, l’uso del Messale Romano del 1962, applicando le norme del presente Motu proprio. Spetta soprattutto a Voi operare perché si torni a una forma celebrativa unitaria, verificando caso per caso la realtà dei gruppi che celebrano con questo Missale Romanum.

Le indicazioni su come procedere nelle diocesi sono principalmente dettate da due principi: provvedere da una parte al bene di quanti si sono radicati nella forma celebrativa precedente e hanno bisogno di tempo per ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II; interrompere dall’altra l’erezione di nuove parrocchie personali, legate più al desiderio e alla volontà di singoli presbiteri che al reale bisogno del «santo Popolo fedele di Dio». Al contempo Vi chiedo di vigilare perché ogni liturgia sia celebrata con decoro e fedeltà ai libri liturgici promulgati dopo il Concilio Vaticano II, senza eccentricità che degenerano facilmente in abusi. A questa fedeltà alle prescrizioni del Messale e ai libri liturgici, in cui si rispecchia la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II, siano educati i seminaristi e i nuovi presbiteri.

Per Voi invoco dal Signore Risorto lo Spirito, perché vi renda forti e fermi nel servizio al Popolo che il Signore vi ha affidato, perché per la vostra cura e vigilanza esprima la comunione anche nell’unità di un solo Rito, nel quale è custodita la grande ricchezza della tradizione liturgica romana. Io prego per voi. Voi pregate per me.

FRANCESCO

[1]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[2]Cf. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali “Quattuor abhinc annos”, 3 ottobre 1984: AAS 76 (1984) 1088-1089.

[3]GIOVANNI PAOLO II, Litt. Ap. Motu proprio datae “Ecclesia Dei”, 2 luglio 1988: AAS 80 (1998) 1495-1498.

[4]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[5]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[6]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797.

[7]BENEDETTO XVI, Litt. Ap. Motu proprio datae “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 779.

[8]BENEDETTO XVI, Litt. Ap. Motu proprio datae “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 779.

[9]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[10]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797.

[11]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 798.

[12]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797-798.

[13]BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[14]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[15]Cf. ACTA ET DOCUMENTA CONCILIO OECUMENICO VATICANO II APPARANDO, Series I, Volumen II, 1960.

[16]PIO XII, Litt. Encyc. “Mediator Dei et hominum”, 20 novembre 1947: AAS 39 (1949) 521-595.

[17]Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963, nn. 1, 14: AAS 56 (1964) 97.104.

[18]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963, n. 3: AAS 56 (1964) 98.

[19]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963, n. 4: AAS 56 (1964) 98.

[20]MISSALE ROMANUM ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, editio typica, 1970.

[21]MISSALE ROMANUM ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica altera, 1975; editio typica tertia, 2002; (reimpressio emendata, 2008).

[22]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 3: AAS 56 (1964) 98.

[23]1Cor 1,12-13.

[24]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 26: AAS 56 (1964) 107.

[25]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 14: AAS 57 (1965) 19.

[26]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 6: AAS 56 (1964) 100.

[27]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[28]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 48: AAS 56 (1964) 113.

[29]PAOLO VI, Costituzione apostolica Missale Romanum (3 aprile 1969), AAS 61 (1969) 222.

[30]Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium”, 21 novembre 1964, n. 13: AAS 57 (1965) 18.