«Che c’è tra te e me, o donna?» – La kenosi della Madre di Dio

 

Nelle meditazioni di questa Quaresima, proseguiamo il cammino sulle orme della Madre di Dio iniziato nello scorso Avvento. Sarà un modo anche questo per metterci sotto la protezione della Vergine in un momento di così dura prova per l’intera umanità.

Dobbiamo riconoscere che di Maria non si parla moltissimo nel Nuovo Testamento, almeno non così spesso quanto ci aspetteremmo, tenendo conto dello sviluppo che ha avuto nella Chiesa la devozione alla Madre di Dio. Tuttavia, se facciamo bene attenzione, ci accorgiamo di una cosa: che Maria non è assente in nessuno dei tre momenti costitutivi del mistero della salvezza. Esistono infatti tre momenti ben precisi che, insieme, formano il grande mistero della Redenzione. Essi sono: l’Incarnazione del Verbo, il Mistero pasquale e la Pentecoste.

Ora, riflettendo, ci accorgiamo – dicevo – che Maria non è assente in nessuno di questi tre momenti fondamentali. Ella non è certo assente nell’Incarnazione come abbiamo visto nelle meditazioni dell’Avvento. Non è assente dal Mistero pasquale, perché è scritto che «presso la croce di Gesù stava sua madre» (cf. Gv 19, 25). Non è assente infine dalla Pentecoste, perché è scritto che lo Spirito Santo venne sugli apostoli mentre «erano assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù» (cf. At 1, 14). Queste tre presenze di Maria nei momenti-chiave della nostra salvezza non possono essere un caso. Esse le assicurano un posto unico accanto a Gesù, nell’opera della redenzione. Maria è stata la sola fra tutte le creature a essere testimone e partecipe di tutti e tre questi avvenimenti.

 

Seguiamo dunque Maria nel Mistero pasquale, lasciandoci guidare da lei alla comprensione profonda della Pasqua e alla partecipazione alle sofferenze di Cristo. Maria ci prende per mano e ci incoraggia a seguirla su questa strada, dicendoci come una madre ai propri figli riuniti: “Andiamo anche noi a morire con lui!” (Gv 11, 16). Nel Vangelo, è l’apostolo Tommaso che pronuncia queste parole, ma è Maria che le mette in pratica.

 

Imparò l’obbedienza dalle cose che patì

 

Il Mistero pasquale non comincia, nella vita di Gesù, con la cattura nell’orto e non dura solo la settimana santa. Tutta la sua vita, da quando Giovanni Battista lo salutò come l’Agnello di Dio, è una preparazione alla sua Pasqua. Secondo il Vangelo di Luca, la vita pubblica di Gesù fu tutta una lenta e inarrestabile «salita verso Gerusalemme», dove avrebbe consumato il suo esodo (cf. Lc 9, 31).

Parallelo a questo cammino del nuovo Adamo obbediente, si svolge il cammino della nuova Eva. Anche per Maria il Mistero pasquale cominciò assai per tempo. Già le parole di Simeone sul segno di contraddizione e sulla spada che le avrebbe trapassato l’anima contenevano un presagio che Maria conservava nel suo cuore, insieme con tutte le altre parole. Lo scopo di questa meditazione è proprio quello di seguire Maria durante la vita pubblica di Gesù e vedere di che cosa ella è figura e modello in questo tempo.

Che cosa avviene di solito in un cammino di santità dopo che un’anima è stata ricolmata di grazia, dopo che ha risposto generosamente con il suo «sì» di fede e si è messa volenterosamente a compiere opere buone e a coltivare le virtù? Viene il tempo della purificazione e della spoliazione. Viene la notte della fede. E vedremo infatti che Maria, in questo periodo della sua vita, ci è di guida e di modello proprio in questo: di come comportarci quando viene nella vita «il tempo della potatura».

San Giovanni Paolo II, nella sua enciclica «Redemptoris Mater», applica giustamente alla vita della Madonna la grande categoria della kenosi, con cui san Paolo ha spiegato la vicenda terrena di Gesù: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso, la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò (ekénosen) se stesso” (Fil 2, 6-7). «Mediante la fede – scrive il Papa – Maria è perfettamente unita a Cristo nella sua spoliazione… Ai piedi della croce Maria partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero di questa spoliazione»[1], Questa spoliazione si consumò sotto la croce, ma cominciò ben prima. Anche a Nazareth e soprattutto durante la vita pubblica di Gesù, ella avanzava nella peregrinazione della fede. Non è difficile notare già allora «una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di notte della fede»[2].

Tutto questo rende la vicenda di Maria straordinariamente significativa per noi; restituisce Maria alla Chiesa e all’umanità. Dobbiamo prendere atto con gioia di un grande progresso che si è realizzato nella devozione alla Madonna, nella Chiesa cattolica, e di cui chi ha vissuto a cavallo del Concilio Vaticano II può rendersi facilmente conto. Prima, la categoria fondamentale con la quale si spiegava la grandezza della Madonna era quella del «privilegio» o dell’esenzione.

Si pensava che Maria fosse stata esentata non solo dal peccato originale e dalla corruzione (che sono privilegi definiti dalla Chiesa con i dogmi dell’Immacolata e dell’Assunzione), ma su questa linea, si andava tanto oltre da pensare che Maria fosse stata esentata dai dolori del parto, dalla fatica, dal dubbio, dalla tentazione, dall’ignoranza e infine la cosa più grave, anche dalla morte. Per alcuni infatti Maria sarebbe stata assunta in cielo senza aver dovuto passare per la morte.

Queste cose – si pensava – sono conseguenze del peccato, ma Maria non aveva peccato. Non ci si rendeva conto che, in questo modo, anziché «associare» Maria a Gesù, la si dissociava completamente da lui, che, pur essendo senza peccato, volle sperimentare a nostro vantaggio tutte queste cose e cioè: fatica, dolore, angoscia, tentazioni e morte.

Ora la categoria fondamentale con la quale, dietro il Concilio Vaticano II, cerchiamo di spiegarci la santità unica di Maria non è più tanto quella del privilegio, quanto quella della fede. Maria ha camminato, anzi ha «progredito» nella fede[3]. Questo non diminuisce, ma accresce a dismisura la grandezza di Maria. La grandezza spirituale di una creatura davanti a Dio, in questa vita, non si misura infatti tanto da ciò che Dio le dà, quanto da ciò che Dio le chiede. E vedremo che a Maria Dio ha chiesto tanto, più che a ogni altra creatura, più che allo stesso Abramo.

 

Maria nella vita pubblica di Gesù

 

Vi sono, nei Vangeli, menzioni della Madonna che in passato, nel clima dominato dall’idea di privilegio, creavano un certo disagio tra i credenti e che ora invece ci appaiono pietre miliari in questo cammino di fede di Maria. Non abbiamo perciò alcun motivo di accantonarle in fretta o smussarle con spiegazioni di comodo. Passiamo brevemente in rassegna questi testi.

 

Partiamo dall’episodio dello smarrimento di Gesù nel tempio (cf. Lc 2, 41 ss). Questo fu l’inizio del mistero pasquale di spoliazione per la Madre. Cosa si sentì dire infatti, dopo averlo ritrovato? “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” “Perché mi cercavate?” Queste parole mettevano tra Gesù e lei una volontà diversa, infinitamente più importante, che faceva passare in secondo ordine ogni altro rapporto, anche il rapporto filiale con lei.

 

Ma andiamo avanti. Troviamo una menzione di Maria a Cana di Galilea, giusto nel momento in cui Gesù sta iniziando il suo ministero pubblico. Sappiamo i fatti. Cosa si sentì rispondere Maria da Gesù, alla sua discreta richiesta di intervento? “Che c’è tra me e te, o donna?” (Gv 2, 4). Comunque si vogliano spiegare queste parole, esse hanno un suono duro, mortificante; sembrano di nuovo porre una distanza tra Gesù e sua Madre.

 

Tutti e tre i Sinottici ci riferiscono questo altro episodio avvenuto durante la vita pubblica di Gesù. Un giorno, mentre Gesù era intento a predicare, giunsero sua Madre e alcuni parenti per parlargli. Forse la Madre si preoccupava, com’è naturalissimo in una mamma, della sua salute, perché poco prima è scritto che Gesù non poteva neppure prendere cibo a causa della folla (cf. Mc 3, 20). Notiamo un dettaglio. Maria, la Madre, deve mendicare perfino il diritto di poter vedere il Figlio e parlargli. Ella non si fa largo tra la folla, facendo valere il fatto che era la madre. Restò invece fuori in attesa e altri andarono da Gesù a riferirgli: «Fuori c’è tua madre che ti vuole parlare». Ma la cosa importante anche qui è la parola di Gesù che è ancora e sempre nella stessa linea: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” (Mc 3, 33).

Conosciamo già il seguito della risposta. Proviamo a metterci al posto di Maria e intuiremo l’umiliazione e la sofferenza che c’erano per lei in quelle parole. Noi sappiamo oggi che in quelle parole è contenuto un elogio, e non un rimprovero, per la madre; ma ella non lo sapeva, almeno in quel momento. In quel momento, c’era solo l’amarezza di un rifiuto. Non si dice che Gesù uscisse fuori poi a parlarle; probabilmente Maria dovette allontanarsi, senza aver potuto vedere il figlio e parlargli.

 

Un altro giorno – narra san Luca – una donna, tra la folla, uscì in un’esclamazione di entusiasmo verso Gesù: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!” Era uno di quei complimenti che bastano da soli a far felice una mamma; ma Maria, se era presente o se venne a saperlo, non poté soffermarsi a lungo su questa parola e goderne, perché Gesù si affrettò subito a correggere: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11, 27-28).

 

Un ultimo dettaglio in questa linea. San Luca parla, in un certo punto del suo Vangelo, del «seguito femminile di Gesù», cioè di un certo numero di pie donne – di cui dà anche il nome – che erano state beneficate da lui e che lo «assistevano con i loro beni» (cf. Lc 8, 2-3), cioè accudivano ai bisogni materiali suoi e degli apostoli, come preparare un pasto, lavare o rammendáre un vestito. Dov’è qui la cosa che riguarda Maria? È che tra queste donne non figura la madre e tutti sanno quanto una madre desidererebbe essere lei a prendersi cura di questi piccoli servizi del figlio, specie se consacrato al Signore. È il sacrificio totale del cuore.

Cosa significa tutto questo? Una serie di fatti e parole così precisi e coerenti non può essere un caso. Maria ha dovuto passare anche lei attraverso la sua kenosi. La kenosi di Gesù consistette nel fatto che, anziché far valere i suoi diritti e le sue prerogative divine, se ne spogliò, assumendo lo stato di servo e apparendo all’esterno un uomo come gli altri. La kenosi di Maria consistette nel fatto che, anziché far valere i suoi diritti come madre del Messia, se ne lasciò spogliare, apparendo dinanzi a tutti una donna come le altre.
La maternità divina di Maria era anche, e prima di tutto, una maternità umana; aveva un aspetto anche «carnale», nel senso positivo di questo termine. Quel Figlio era suo figlio “carnale”, era l’unica sua ricchezza, l’unico suo appoggio nella vita. Ma ella dovette rinunciare a tutto ciò che c’era di umanamente esaltante nella sua vocazione. Fu messa dal Figlio stesso in condizione da non poter trarre dalla sua maternità alcun vantaggio terreno. Seguiva Gesù «come se non fosse» la madre. Una volta iniziato il suo ministero e lasciata Nazareth, Gesù non ebbe dove posare il capo. E Maria non ebbe dove posare il cuore!

 

Alla sua povertà materiale, che era già tanto grande, Maria aggiunse anche la povertà spirituale, nel suo grado più alto. Tale povertà di spirito consiste nel lasciarsi spogliare di tutti i privilegi, nel non poter far leva su niente, né del passato né del futuro: né di rivelazioni, né di promesse, come se non le appartenessero e non avessero mai avuto luogo. Si tratta di una specie di «notte oscura della memoria». Essa consiste nel dimenticarsi – o meglio, nel non potersi ricordare, neppure volendolo – del passato, ed essere protesi unicamente verso Dio, vivendo in pura speranza. È la vera e radicale povertà di spirito che è ricca solo di Dio e, anche questo, solo in speranza.

 

Gesù si è comportato con la Madre come un direttore spirituale lucido ed esigente che, avendo intravisto un’anima d’eccezione, non le fa perdere tempo, non la fa indugiare in basso, tra sentimenti e consolazioni naturali; ma la spinge in una corsa senza tregua verso la totale spoliazione, in vista dell’unione con Dio. Ha insegnato a Maria il rinnegamento di sé. Gesù dirige tutti i suoi seguaci di tutti i secoli, con il suo Vangelo, ma la Madre la diresse a viva voce, di persona.

 

Egli con una mano si lasciava condurre dal Padre, mediante lo Spirito, dove voleva: nel deserto per essere tentato, sul monte per essere trasfigurato, nel Getsemani per sudare sangue. “Io faccio sempre – diceva – le cose che gli sono gradite” (Gv 8, 29). Con l’altra mano, Gesù conduce la Madre nella stessa corsa a fare la volontà del Padre.

 

Maria discepola di Cristo

 

Come reagì Maria a questa condotta di Dio stesso nei suoi riguardi? Proviamo a rileggere i testi ricordati. Costateremo una cosa: mai il benché minimo accenno di contrasto di volontà, di replica o di auto-giustificazione da parte di Maria; mai un tentativo di far cambiare decisione a Gesù! Docilità assoluta.

Qui appare la santità personale unica della Madre di Dio, la meraviglia più alta della grazia. Basta, per rendersene conto, fare qualche confronto. Per esempio, con san Pietro. Quando Gesù fece capire a Pietro che a Gerusalemme l’aspettavano rifiuto, passione e morte, egli «protestò» e disse: No, Signore, questo non può accadere, non deve accadere! (cf. Mt 16, 22). Si preoccupava per Gesù, ma anche per sé. Maria no.

 

Maria taceva. La sua risposta a tutto era il silenzio. Non un silenzio di ripiegamento e di tristezza. Quello di Maria fu un silenzio buono. Si vede a Cana di Galilea, dove, anziché mostrarsi offesa, capisce, nella fede, e forse dallo sguardo di Gesù, che può farlo e dice dunque ai servi: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 5). Anche quando – dopo quella dura parola di Gesù ritrovato nel tempio – si dice che Maria non capiva, è scritto che ella taceva e “serbava tutte queste cose nel suo cuor” (Lc 2, 51).

Il fatto che tace non significa che per Maria è tutto facile, che non deve superare lotte, fatiche e tenebre. Ella fu esente dal peccato, non dalla lotta e da quella che san Giovanni Paolo II chiama la «fatica del credere». Se, nel Getsemani, Gesù dovette lottare e sudare sangue, per portare la sua volontà umana al punto di aderire pienamente alla volontà del Padre, è forse sorprendente che abbia dovuto «agonizzare» anche la Madre?

 

Una cosa tuttavia è certa: Maria non avrebbe voluto, per nulla al mondo, tornare indietro. Quando si chiede a certe anime, condotte da Dio per vie simili, se vogliono che si preghi perché tutto finisca e torni ad essere come un tempo, anche se sconvolte e a volte sull’orlo dell’apparente disperazione, subito si affrettano a rispondere: no!

”Dopo aver contemplato, in Avvento, la Madre di Cristo, contempliamo dunque, ora, la discepola di Cristo. A proposito della parola di Gesù: “Chi è mia madre? …Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3, 33-35), sant’Agostino commenta: «Non fece forse la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale per la fede credette, per la fede concepì, fu scelta perché da lei la salvezza nascesse per noi tra gli uomini, e fu creata da Cristo prima che Cristo fosse creato nel suo seno? Santa Maria fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo, anziché Madre di Cristo. Vale di più, è una prerogativa più felice, essere stata discepola anziché Madre di Cristo. Maria era felice, poiché, prima di dare alla luce il Figlio, portò nel ventre il Maestro… E per questo dunque che anche Maria fu beata, poiché ascoltò la Parola di Dio e la mise in pratica»[4].

«Corporalmente, Maria è dunque soltanto madre di Cristo, ma spiritualmente gli è sorella e madre»[5].

Dobbiamo allora pensare che la vita di Maria fu una vita fatta di continua afflizione, una vita tetra? Al contrario. Giudicando, per analogia, da ciò che avviene nei santi, dobbiamo dire che in questo cammino di spoliazione Maria scopriva di giorno in giorno una gioia di tipo nuovo, rispetto alle gioie materne di Betlemme o di Nazareth, quando si stringeva Gesù al seno e Gesù si stringeva al suo collo. Gioia di non fare la propria volontà. Gioia di credere. Gioia di dare a Dio la cosa per lui più preziosa, dal momento che, anche nei confronti di Dio, c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Gioia di scoprire un Dio, le cui vie sono inaccessibili e i cui pensieri non sono i nostri pensieri, ma che proprio in questo si dà a conoscere per quello che è: Dio tre volte Santo.

 

Una grande mistica, santa Angela da Foligno, che aveva fatto esperienze analoghe, parla di una gioia speciale, al limite delle possibilità umane di comprensione, che chiama la «gioia dell’incomprensibilità» (gaudium incomprebensibilitatis). Essa consiste nel capire che non si può capire, ma che un Dio capito non sarebbe più Dio. Questa incomprensibilità, anziché tristezza, genera gioia, perché fa vedere che Dio è ancora più ricco e più grande di quanto tu riesca a comprendere e che è il «tuo» Dio! Questa è la gioia che i Santi hanno in cielo e che la Santa Vergine, dice santa Angela, ebbe, in certi momenti, fin da questa vita.
Dalla nostra meditazione su Maria nella vita pubblica di Gesù riportiamo una consolante certezza: Non abbiamo una Madre che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stata provata, lei stessa, in ogni cosa, a somiglianza nostra, eccetto il peccato. Ora che è glorificata in cielo accanto al Figlio, Maria può stendere a noi la sua mano materna e condurre anche noi dietro di sé, dicendo, ben più a ragione dell’Apostolo: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1Cor 11, 1). Rivolgiamoci dunque a lei in questo tempo di grande prova, con l’antica e bella preghiera del Sub tuum praesidium:

Sotto la tua protezione
cerchiamo rifugio,
santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche
di noi che siamo nella prova,
ma liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta.

 

[1] S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris Mater, 18.

[2] Ibidem, 17.

[3] Lumen gentium, 58.

[4] S. Agostino, Discorsi, 72 A, 7.

[5] S. Agostino, La santa verginità, 5-6 (PL 40, 399).